RADIO SANTA MARIA IN SELVA

martedì 29 marzo 2011

Manuale Proposta dalla Commissione "Giustizia e Pace" E La CEI "Educare al Vangelo in un mondo che cambia"

   Si invita ogni Comunità, coordinando i laici più sensibili circa i problemi su giustizia e pace, a creare un itinerario formativo per una vita cristiana e religiosa profetica durante il tempo quaresimale, dedicandovi un tempo di riflessione comune da concordare nel Capitolo conventuale. 



_______________________________

Educare in un mondo che cambia
È tempo di discernimento
7. L’opera educativa della Chiesa è strettamente legata al momento e al contesto in cui essa si  trova a vivere, alle dinamiche culturali di cui è parte e che vuole contribuire a orientare. Il “mondo che cambia” è ben più di uno scenario in cui la comunità cristiana si muove: con le sue urgenze e le sue opportunità, provoca la fede e la responsabilità dei credenti. È il Signore che, domandandoci di valutare il tempo, ci chiede di interpretare ciò che avviene in profondità nel mondo d’oggi, di cogliere le domande e i desideri dell’uomo: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: ‘Arriva la pioggia’, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: ‘Farà caldo’, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?» (Lc 12,54-57).
«Bisogna, infatti, conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico», ci ha ricordato il Concilio Vaticano II, indicando pure il metodo: «Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche»20. Tutto il popolo di Dio, dunque, con l’aiuto dello Spirito, ha il compito di esaminare ogni cosa e di tenere ciò che è buono (cfr 1Ts 5,21), riconoscendo i segni e i tempi dell’azione creatrice dello Spirito. Compiendo tale discernimento, la Chiesa si pone accanto a ogni uomo, condividendone gioie e speranze, tristezze e angosce e diventando così solidale con la storia
del genere umano.
Mentre sperimentiamo le difficoltà in cui si dibatte l’opera educativa in una società spesso incapace di assicurare riferimenti affidabili, nutriamo una grande fiducia, sapendo che il tempo dell’educazione non è finito. Perciò vogliamo metterci alla ricerca di risposte adeguate e non ci scoraggiamo, sapendo di poter contare su una “riserva escatologica” alla quale quotidianamente attingere: la speranza che non delude (cfr Rm 5,5).
Così sostenuti, vogliamo prendere coscienza, insieme a tutti gli educatori, di alcuni aspetti problematici della cultura contemporanea – come la tendenza a ridurre il bene all’utile, la verità a razionalità empirica, la bellezza a godimento effimero – cercando di riconoscere anche le domande inespresse e le potenzialità nascoste, e di far leva sulle risorse offerte dalla cultura stessa.

lunedì 28 marzo 2011

XLIV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE


BENEDETTO XVI


PER LA CELEBRAZIONE DELLA 

XLIV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

1° GENNAIO 2011

Oltre l’odio e il pregiudizio
13. Nonostante gli insegnamenti della storia e l’impegno degli Stati, delle Organizzazioni internazionali a livello mondiale e locale, delle Organizzazioni non governative e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà che ogni giorno si spendono per la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, nel mondo ancora oggi si registrano persecuzioni, discriminazioni, atti di violenza e di intolleranza basati sulla religione. In particolare, in Asia e in Africa le principali vittime sono i membri delle minoranze religiose, ai quali viene impedito di professare liberamente la propria religione o di cambiarla, attraverso l’intimidazione e la violazione dei diritti, delle libertà fondamentali e dei beni essenziali, giungendo fino alla privazione della libertà personale o della stessa vita.
Vi sono poi - come ho già affermato - forme più sofisticate di ostilità contro la religione, che nei Paesi occidentali si esprimono talvolta col rinnegamento della storia e dei simboli religiosi nei quali si rispecchiano l’identità e la cultura della maggioranza dei cittadini. Esse fomentano spesso l’odio e il pregiudizio e non sono coerenti con una visione serena ed equilibrata del pluralismo e della laicità delle istituzioni, senza contare che le nuove generazioni rischiano di non entrare in contatto con il prezioso patrimonio spirituale dei loro Paesi.
La difesa della religione passa attraverso la difesa dei diritti e delle libertà delle comunità religiose. I leader delle grandi religioni del mondo e i responsabili delle Nazioni rinnovino, allora, l’impegno per la promozione e la tutela della libertà religiosa, in particolare per la difesa delle minoranze religiose, le quali non costituiscono una minaccia contro l’identità della maggioranza, ma sono al contrario un’opportunità per il dialogo e per il reciproco arricchimento culturale. La loro difesa rappresenta la maniera ideale per consolidare lo spirito di benevolenza, di apertura e di reciprocità con cui tutelare i diritti e le libertà fondamentali in tutte le aree e le regioni del mondo. 

CAMPAGNA CONTRO IL TRAFFICO DI PERSONE



TRATTA E TRAFFICO ILLEGALE DI PERSONE
(GENNAIO-FEBBRAIO 2011, n.1-2 *** CURIA, OSA, PP. Michael e Alejandro).

Rifugiati, ma quanti sono?
Sono 42 milioni, secondo il rapporto statistico annuale dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), - "Global Trends" - pubblicato oggi, le persone costrette alla fuga da guerre e persecuzioni alla fine del 2008. Questa cifra è dovuta ad un brusco rallentamento dei rimpatri e ad una maggior durata dei conflitti, risultante in forme di esilio protratto. Il numero totale comprende 16 milioni di rifugiati e richiedenti asilo e 26 milioni di sfollati all'interno del proprio paese.
Secondo il rapporto dell'UNHCR l'80% dei rifugiati del mondo si trova nei paesi in via di sviluppo, così come la stragrande maggioranza degli sfollati - una popolazione nei confronti della quale cresce l'impegno dell'UNHCR. Molte persone sono in esilio da anni senza la prospettiva di una soluzione.
Sebbene la cifra totale di 42 milioni sia minore di 700 mila unità rispetto all'anno precedente, i dati provvisori del 2009, non rappresentati nel rapporto, riflettono già un mutamento di tendenza.
"Nel 2009 abbiamo già assistito a un consistente movimento forzato di popolazioni, principalmente in Pakistan, Sri Lanka e Somalia," ha detto l'Alto Commissario António Guterres.
Almeno 5,7 milioni di rifugiati vivono in un vero e proprio limbo. Si tratta di 29 differenti gruppi composti da oltre 25 mila rifugiati ciascuno che sono in esilio da più di cinque anni in 22 paesi senza che vi sia ancora per loro alcuna prospettiva per una soluzione immediata.
Sono circa 2 milioni i rifugiati e gli sfollati che sono potuti tornare a casa nel 2008, un numero inferiore rispetto all'anno precedente. Il ritorno a casa dei rifugiati (604 mila rimpatriati) è calato del 17%, mentre per gli sfollati (1,4 milioni) il calo è stato del 34%. Il rimpatrio, tradizionalmente considerata la soluzione durevole più diffusa per i rifugiati, ha raggiunto il secondo livello più basso negli ultimi 15 anni. Questo declino riflette in parte il deterioramento delle condizioni di sicurezza principalmente in Afghanistan e Sudan.
Nel 2008 l'UNHCR ha proposto a 121 mila persone il reinsediamento in paesi terzi e più di 67 mila sono effettivamente partiti. L'organizzazione si occupa di 25 milioni di persone, fra i quali 14.4 milioni di sfollati - ben oltre i 13,7 dell'anno precedente - e 10,5 milioni di rifugiati. Gli altri 4,7 milioni di rifugiati sono palestinesi sotto la competenza dell'UNRWA. Dal 2005 il numero degli sfollati di cui si occupa l'agenzia è più che raddoppiato.
La Colombia possiede una delle più vaste popolazioni di sfollati, con stime che si aggirano sui 3 milioni di persone. In Iraq, alla fine del 2008, ce n'erano 2.6 milioni - 1,4 milioni dei quali sfollati negli ultimi tre anni. Nella regione del Darfur, in Sudan, gli sfollati erano più di 2 milioni. La recrudescenza dei conflitti nella regione orientale della Repubblica Democratica del Congo e in Somalia, lo scorso anno, hanno generato rispettivamente 1,5 e 1,3 milioni di sfollati. All'inizio dell'anno abbiamo assistito a massicci movimenti forzati di popolazione in Kenya, mentre il conflitto in Georgia ha messo in fuga 135 mila persone. Il numero di sfollati è altresì aumentato in Afghanistan, Pakistan, Sri Lanka e Yemen.
L'anno scorso, la popolazione di competenza dell'UNHCR è calata per la prima volta dal 2006 a causa della revisione e dell'aggiornamento delle stime riguardanti il numero di rifugiati e di persone in "situazioni simili ai rifugiati" in Iraq e Colombia. Il numero dei rifugiati è sceso dagli 11,4 milioni del 2007 a 10,5 milioni per il 2008. Ma il numero di richiedenti asilo è salito per il secondo anno consecutivo, nel 2008 sono stati 839 mila, con un incremento del 28%. I paesi che hanno ricevuto il maggior numero di domande di asilo sono il Sud Africa (207 mila), gli Stati Uniti (49.600), la Francia (35.400) ed il Sudan (35.100).
I paesi in via di sviluppo hanno ospitato l'80% dei rifugiati nel mondo, a sottolineare la sproporzionata pressione che grava su quei paesi che hanno meno mezzi e maggior bisogno si assistenza internazionale. Fra i principali paesi di accoglienza di rifugiati nel 2008 troviamo il Pakistan (1,8 milioni), la Siria (1,1 milioni), l'Iran (980 mila), la Germania (582.700), la Giordania (500.400), il Ciad (330.500), la Tanzania (321.900) e il Kenya (320.600).
I principali paesi di origine sono stati l'Afghanistan (2,8 milioni) e l'Iraq (1,9 milioni) paesi che, da soli, rappresentano il 45% dei rifugiati di competenza dell'UNHCR. Altri paesi di origine sono la Somalia (561 mila), il Sudan (419 mila), la Colombia, compresi coloro in situazioni simili ai rifugiati (374 mila) e la Repubblica Democratica del Congo (368 mila).


Il traffico di persone è una forma moderna di schiavitù. La necessità di uscire dal proprio paese in cerca di un futuro migliore spinge molti fratelli e sorelle a cadere in una spirale in cui la loro dignità come persone scompare e si convertono in mercanzia che si trasporta, si immagazzìna e con cui si commercia. Anche se la forma più abituale di immaginare il traffico di persone è lo sfruttamento sessuale, la cosificazione dell’essere umano è una dinamica sociale che si manifesta in forme diverse, dal costringere le persone a diventare donatori di organi fino a situazioni di una maggiore accettazione sociale, come sono i lavori clandestini o le reti di immigrazione illegale.

La disperazione che provoca la povertà estrema si è convertita in una importante risorsa economica sulla quale si costruisce un prospero mercato globale, che è superato solamente dal traffico di armi e dal traffico di droghe. Questo prospero campo di commercio si sostiene e cresce grazie a tre situazioni strutturali:
- La tenaglia della povertà che si è prodotta tra le economie sviluppate e gli altri paesi. Le politiche per il lento sviluppo delle economie dei paesi del Sud del mondo assicura che le materie prime possano arrivare ai paesi del Nord, però nello stesso tempo negano il futuro alle nuove generazioni che vedono nell’emigrazione l’unica via di uscita per creare un loro futuro migliore.
– La vicinanza tra i popoli che ha prodotto la globalizzazione fa sì che il modello di vita basato sui beni di consumo e sullo stato di benessere si converte in un modello globale. L’impossibilità di raggiungere una prosperità immediata nel proprio paese favorisce il sogno di trovare la vita che si desidera in paesi che prima erano lontani ma che, grazie al processo di globalizzazione, ora sono vicini e conosciuti.
- La crescente domanda nei paesi del Nord del mondo di persone che facciano lavori che sono al margine della struttura economica della società. Alcuni perché sono socialmente rifiutati, come è il caso della prostituzione, specialmente quella infantile, altri però perché i loro costi lavorativi – in termini di contributi e di salari - rendono minimo il beneficio. Ciò favorisce la contrattazione illegale che, in alcuni casi, significa lavori, salari e condizioni lavorative vicini a quelli dell’ultima tappa dei regimi schiavisti del secolo XIX.
In questo strato di coltura, con la posizione politica del governi che risolve le singole situazioni di emergenza senza attuare una politica di risanamento delle strutture, il crimine organizzato ha incontrato un mercato lucrativo, nel quale si soddisfa la domanda dei paesi del Nord del mondo con l’offerta a basso costo di manodopera dai paesi del Sud.

domenica 27 marzo 2011

Spartiti di Musica Agostiniana

1.Magne Pater

2.Inno di S. Agostino

3.In Unità

4.Tardi t'amai

5. Prendi Leggi

6. Creati per Te

sabato 26 marzo 2011

AGOSTINIANA E IMPEGNO CONTRO IL RAZZISMO

La Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite contro il Razzismo, la Discriminazione Razziale, la Xenofobia e altre Forme Correlate d'Intolleranza che si svolgerà in Sudafrica dal 31 agosto al 7 settembre 2001 sarà una sfida nella lotta per l'eliminazione di ogni forma di razzismo e un'opportunità unica per promuovere un nuovo impegno a livello mondiale in questa campagna all'inizio del XXI secolo.
Il Segretariato Agostiniano di Giustizia e Pace invita ogni agostiniano e ogni comunità agostiniana locale a riflettere sulla dichiarazione qui presentata e a considerare la possibilità di unirsi a questa campagna. Vi chiediamo d'inviare le dichiarazioni firmate a
Segretariato Agostiniano di Giustizia e Pace Via Paolo VI, 25 - 00193 Roma
Tutti i formulari ricevuti prima del 15 agosto saranno consegnati alla Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite contro il Razzismo il 28 agosto, festa di S. Agostino. Vi chiediamo di riprodurre la dichiarazione e di diffonderla. Si può anche firmarla sulla pagina Web dell'Ordine di S. Agostino www.aug.org - Eccone il testo
Il pregiudizio razzista, in quanto coscienza della superiorità determinata biologicamente della propria razza o gruppo etnico rispetto agli altri, nega la uguale dignità di tutti i membri della famiglia umana e bestemmia il suo Creatore. Può essere combattuto solo lì ove nasce, vale a dire nel cuore dell'essere umano.
In quanto cristiani crediamo fermamente che ogni persona è creata a immagine e somiglianza di Dio ed è dotata di doni unici per il bene comune. Siamo fedeli alla nostra eredità agostiniana che ci anima a onorare Dio l'uno nell'altro, e che promuove l'unità nella diversità. Non tutti hanno le stesse necessità; non tutti hanno gli stessi doni. Abbiamo tutti, però, la stessa missione quella di vivere in armonia. Proclamiamo il rispetto per la diversità delle culture e crediamo che la carità debba superare gli interessi e le preferenze personali.
E' anche necessario assumere la difesa delle vittime del razzismo ovunque si trovino. Non è sufficiente che le leggi condannino e sanzionino ogni tipo di discriminazione razziale. Una comunità deve appropriarsi dei valori che ispirano le leggi giuste. Non possiamo evitare di prendere il nostro posto in questa lotta per la dignità di tutti, privilegiando sempre i mezzi non-violenti.
1. M'impegno a riflettere nell'intimo e a portare nella mia preghiera il tema del razzismo, sia per i suoi protagonisti che per le sue vittime, nei giorni della Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite contro il Razzismo (31 agosto-7 settembre 2001).
2. Cercherò modi per promuovere il dialogo sul tema del razzismo con le persone con le quali vivo e lavoro nei giorni della Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite contro il Razzismo.
3. Sosterrò e parteciperò a una attività comunitaria concreta, in relazione al tema del razzismo, in preparazione per, o durante, i giorni della Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite contro il Razzismo (per esempio realizzare un concorso di poesia, canzoni, composizioni, disegni su questo tema).

venerdì 25 marzo 2011

Giustizia e Pace Della Provincia Agostiniana D'Italia

1
PONTIFICIO CONSIGLIO
DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE
Per una riforma del sistema finanziario e monetario
Internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica
a competenza universale

CITTÀ DEL VATICANO
2011
2
Prefazione
« La situazione attuale del mondo esige un’azione d’insieme sulla base di una visione chiara di tutti gli aspetti economici, sociali, culturali e spirituali. Esperta in umanità, la Chiesa, lungi dal pretendere minimamente d’intromettersi nella politica degli Stati, “non ha di mira che un unico scopo: continuare, sotto l’impulso dello Spirito consolatore, la stessa opera del Cristo, venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità, per salvare, non per condannare, per servire, non per essere servito” ».1
Con queste parole, Paolo VI, nella profetica e sempre attuale Enciclica Populorum progressio del 1967, tracciava in maniera limpida « le traiettorie » dell’intima relazione della Chiesa con il mondo: traiettorie che si intersecano nel valore profondo della dignità dell’uomo e nella ricerca del bene comune, e che pure rendono i popoli responsabili e liberi di agire secondo le proprie più alte aspirazioni.
La crisi economica e finanziaria che sta attraversando il mondo chiama tutti, persone e popoli, ad un
profondo discernimento dei principi e dei valori culturali e morali che sono alla base della convivenza sociale. Ma non solo. La crisi impegna gli operatori privati e le autorità pubbliche competenti a livello nazionale, regionale e internazionale ad una seria riflessione sulle cause e sulle soluzioni di natura politica, economica e tecnica.
In tale prospettiva, la crisi, insegna Benedetto XVI, « ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente ».2
Gli stessi leader del G20, nello Statement adottato a Pittsburgh nel 2009, hanno affermato come « The economic crisis demonstrates the importance of ushering in a new era of sustainable global economic activity grounded in responsibility ».3
Raccogliendo l’appello del Santo Padre e, al tempo stesso, facendo proprie le preoccupazioni dei popoli – soprattutto di quelli che maggiormente soffrono il prezzo della situazione attuale – il Pontificio Consigliodella Giustizia e della Pace, nel rispetto delle competenze delle autorità civili e politiche, intende proporre e condividere la propria riflessione « Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale ».
Tale riflessione vuole essere un contributo ai responsabili della terra e a tutti gli uomini di buona
volontà; un gesto di responsabilità non solo nei confronti delle generazioni presenti, ma soprattutto di quelle future; affinché non sia mai perduta la speranza di un futuro migliore e la fiducia nella dignità e nella capacità di bene della persona umana.

Premessa
Ogni singola persona, ogni comunità di persone, è partecipe e responsabile della promozione del
bene comune. Fedeli alla loro vocazione di natura etica e religiosa, le comunità di credenti devono per prime interrogarsi sull’adeguatezza dei mezzi di cui la famiglia umana dispone in vista della realizzazione del bene comune mondiale. La Chiesa, per parte sua, è chiamata a stimolare in tutti indistintamente « la volontà di partecipare a quell’ingente sforzo con il quale, nel corso dei secoli, [gli uomini] cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, corrisponde[ndo così] alle intenzioni di Dio ».4

1. Sviluppo economico e disuguaglianze
La grave crisi economica e finanziaria, che il mondo oggi attraversa, trova la sua origine in molteplici cause. Sulla pluralità e sul peso di queste cause persistono opinioni diverse: alcuni sottolineano anzitutto gli errori insiti nelle politiche economiche e finanziarie; altri insistono sulle debolezze strutturali delle istituzioni politiche, economiche e finanziarie; altri ancora le attribuiscono a cedimenti di natura etica intervenuti a tutti i livelli, nel quadro di un’economia mondiale sempre più dominata dall’utilitarismo e dal materialismo. Nei diversi stadi di sviluppo della crisi, si riscontra sempre una combinazione di errori tecnici e di responsabilità morali.
Nel caso di scambio di beni materiali e di servizi, sono la natura e la capacità produttiva, il lavoro in
tutte le sue molteplici forme, che pongono un limite alle quantità determinando un insieme di costi e di prezzi che permette, sotto certe condizioni, un’allocazione efficiente delle risorse disponibili.
Ma in materia monetaria e finanziaria le dinamiche sono diverse. Negli ultimi decenni sono state le
banche ad estendere il credito, il quale ha generato moneta, che a sua volta ha sollecitato un’ulteriore espansione del credito. Il sistema economico è stato in tale maniera spinto verso una spirale inflazionistica che inevitabilmente ha trovato un limite nel rischio sostenibile per gli istituti di credito, sottoposti ad un pericolo ulteriore di fallimento, con conseguenze negative per l’intero sistema economico e finanziario.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, le economie nazionali sono avanzate, sebbene con enormi sacrifici per milioni, anzi per miliardi di persone che avevano dato fiducia, con il loro comportamento di produttori e imprenditori da un lato, di risparmiatori e consumatori dall’altro, a un progressivo regolare sviluppo della moneta e della finanza in linea con le potenzialità di crescita reale dell’economia.
Dagli anni Novanta dello scorso secolo, si riscontra invece come la moneta e i titoli di credito a livello globale siano aumentati in misura molto più rapida della produzione del reddito, anche a prezzi correnti. Ne sono derivate la formazione di sacche eccessive di liquidità e di bolle speculative che poi si sono trasformate in una serie di crisi di solvibilità e di fiducia che si sono propagate e susseguite nel corso degli anni.
Una prima crisi si è verificata negli anni Settanta fino ai primi anni Ottanta, ed era relativa ai prezzi del petrolio. In seguito si sono avute una serie di crisi in vari Paesi in via di sviluppo. Si pensi alla prima crisi del Messico negli anni Ottanta, oppure a quelle del Brasile, della Russia e della Corea, quindi di nuovo del Messico negli anni Novanta, della Tailandia, dell’Argentina.
La bolla speculativa sugli immobili e la recente crisi finanziaria hanno la medesima origine
nell’eccessivo ammontare di moneta e di strumenti finanziari a livello globale.
Mentre le crisi nei Paesi in via di sviluppo, che hanno rischiato di coinvolgere il sistema monetario e finanziario globale, sono state contenute con forme di intervento da parte dei Paesi più sviluppati, la crisi scoppiata nel 2008 è stata caratterizzata da un fattore decisivo e dirompente rispetto a quelle precedenti.
Essa è stata generata nel contesto degli Stati Uniti, una delle aree più rilevanti per l’economia e la finanza mondiale, coinvolgendo la moneta a cui fa tuttora capo la stragrande maggioranza degli scambi internazionali.
Un orientamento di stampo liberista – reticente rispetto ad interventi pubblici nei mercati – ha fatto
propendere per il fallimento di un importante istituto finanziario internazionale, immaginando in tal modo di delimitare la crisi e i suoi effetti. Ne è derivata purtroppo una propagazione di sfiducia che ha spinto a mutare repentinamente atteggiamento, sollecitando interventi pubblici sotto varie forme, di enorme portata (oltre il 20% del prodotto nazionale) al fine di tamponare gli effetti negativi che avrebbero travolto tutto il sistema finanziario internazionale.
Le conseguenze sulla cosiddetta « economia reale », passando attraverso le gravi difficoltà di alcuni
settori – in primo luogo dell’edilizia – e attraverso il diffondersi di aspettative sfavorevoli, hanno generato una tendenza negativa della produzione e del commercio internazionale, con gravi riflessi sull’occupazione, e con effetti che ancora non hanno probabilmente esaurito tutta la loro portata. I costi per milioni, anzi miliardi di persone, nei Paesi sviluppati ma anche soprattutto in quelli in via di sviluppo, sono rilevanti.
In Paesi ed aree dove mancano ancora i beni più elementari della salute, del cibo, del riparo dalle
intemperie, oltre un miliardo di persone sono costrette a sopravvivere con un reddito medio di poco più di un dollaro al giorno.
Il benessere economico globale, misurato in primo luogo dalla produzione del reddito ed anche dalla diffusione delle capabilities, si è accresciuto, nel corso della seconda metà del XX secolo, in una misura e con una rapidità mai sperimentate nella storia del genere umano.
Ma sono anche aumentate enormemente le disuguaglianze all’interno dei vari Paesi e tra di essi. Mentre alcuni Paesi e aree economiche, quelle più industrializzate e sviluppate, hanno visto crescere notevolmente la produzione del reddito, altri Paesi sono stati di fatto esclusi dal miglioramento generalizzato dell’economia, e persino hanno peggiorato la loro situazione.
I pericoli di una situazione di sviluppo economico, concepito in termini liberistici, sono stati
lucidamente e profeticamente denunciati da Paolo VI – per le conseguenze nefaste sugli equilibri mondiali e sulla pace – già nel 1967, dopo il Concilio Vaticano II, con l’Enciclica Populorum progressio. Il Pontefice indicò come condizioni imprescindibili, per la promozione di un autentico sviluppo, la difesa della vita e la promozione della crescita culturale e morale delle persone. Su tali basi, affermava Paolo VI lo sviluppo plenario e planetario « è il nuovo nome della pace ».5
A quaranta anni di distanza, nel 2007, il Fondo Monetario Internazionale riconobbe, nel suo Rapporto annuale, la stretta connessione tra un processo di globalizzazione non adeguatamente governato da un lato, e le forti disuguaglianze a livello mondiale dall’altro.Oggi i moderni mezzi di comunicazione rendono evidenti a tutti i popoli, ricchi e poveri, le disuguaglianze economiche, sociali e culturali che si sono determinate a livello globale generando tensioni e imponenti movimenti migratori.
Tuttavia, va ribadito che il processo di globalizzazione con i suoi aspetti positivi è alla base del grande sviluppo dell’economia mondiale del XX secolo. Vale la pena di ricordare che tra il 1900 e il 2000 la popolazione mondiale si è quasi quadruplicata e che la ricchezza prodotta a livello mondiale è cresciuta in misura molto più rapida cosicché il reddito medio pro capite è fortemente aumentato. Allo stesso tempo, però, non è aumentata l’equa distribuzione della ricchezza, piuttosto, in molti casi essa è peggiorata.
Ma cosa ha spinto il mondo in questa direzione estremamente problematica anche per la pace?
Anzitutto un liberismo economico senza regole e senza controlli. Si tratta di una ideologia, di una forma di « apriorismo economico », che pretende di prendere dalla teoria le leggi di funzionamento del mercato e le cosiddette leggi dello sviluppo capitalistico esasperandone alcuni aspetti. Un’ideologia economica che stabilisca a priori le leggi del funzionamento del mercato e dello sviluppo economico, senza confrontarsi con la realtà, rischia di diventare uno strumento subordinato agli interessi dei Paesi che godono di fatto di una posizione di vantaggio economico e finanziario.
Regole e controlli, sia pure in maniera imperfetta, sono spesso presenti a livello nazionale e regionale; tuttavia, a livello internazionale tali regole e controlli fanno fatica a realizzarsi e a consolidarsi.
Alla base delle disparità e delle distorsioni dello sviluppo capitalistico c’è, in gran parte, oltre
all’ideologia del liberismo economico, l’ideologia utilitarista, ossia quella impostazione teorico-pratica per cui: « l’utile personale conduce al bene della comunità ». È da notare che una simile « massima » contiene un’anima di verità, ma non si può ignorare che non sempre l’utile individuale, sebbene legittimo, favorisce il bene comune. In più di un caso è richiesto uno spirito di solidarietà che trascenda l’utile personale per il bene della comunità.
Negli anni venti del secolo scorso alcuni economisti avevano già messo in guardia dal dare
eccessivamente credito, in assenza di regole e controlli, a quelle teorie oggi divenute ideologie e prassi dominanti a livello internazionale.
Un effetto devastante di queste ideologie, soprattutto negli ultimi decenni del secolo scorso e i primi
anni del nuovo secolo, è stato lo scoppio della crisi nella quale il mondo si trova tuttora
immerso.
Benedetto XVI, nella sua enciclica sociale, ha individuato in maniera precisa la radice di una crisi che non è solamente di natura economica e finanziaria, ma prima di tutto di natura morale, oltre che ideologica.
L’economia, infatti, – osserva il Pontefice – ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento, non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona.Egli, poi, ha denunciato il ruolo svolto dall’utilitarismo e dall’individualismo, nonché le responsabilità di chi li ha assunti e diffusi come parametro per il comportamento ottimale di coloro – operatori economici e politici – che agiscono e interagiscono nel contesto sociale. Ma Benedetto XVI ha anche individuato e denunciato una nuova ideologia, l’ ideologia della tecnocrazia.

2. Il ruolo della tecnica e la sfida etica
Il grande sviluppo economico e sociale dello scorso secolo, certamente con le sue luci ma anche con i suoi gravi coni d’ombra, è dovuto anche al continuato sviluppo della tecnica e, nei decenni più recenti, ai progressi dell’informatica e alle sue applicazioni, all’economia e in primo luogo alla
finanza.
Per interpretare con lucidità l’attuale nuova questione sociale, occorre senz’altro, però, evitare l’errore, figlio anch’esso dell’ideologia neoliberista, di ritenere che i problemi da affrontare siano di ordine esclusivamente tecnico. Come tali, essi sfuggirebbero alla necessità di un discernimento e di una valutazione di tipo etico. Ebbene, l’enciclica di Benedetto XVI mette in guardia contro i pericoli dell’ideologia della tecnocrazia, ossia di quell’assolutizzazione della tecnica che « tende a produrre un’incapacità di percepire ciò che non si spiega con la semplice materia »ed a minimizzare il valore delle scelte dell’individuo umano concreto che opera nel sistema economico-finanziario, riducendole a mere variabili tecniche. La chiusura ad un « oltre », inteso come un di più rispetto alla tecnica, non solo rende impossibile trovare soluzioni adeguate per i problemi, ma impoverisce sempre più, sul piano materiale e morale, le principali vittime della crisi.
Anche nel contesto della complessità dei fenomeni la rilevanza dei fattori etici e culturali non può,
dunque, essere trascurata o sottostimata. La crisi, di fatto, ha rivelato comportamenti di egoismo, di
cupidigia collettiva e di accaparramento di beni su grande scala. Nessuno può rassegnarsi a vedere l’uomo vivere come « un lupo per l’altro uomo », secondo la concezione evidenziata da Hobbes. Nessuno, in coscienza, può accettare lo sviluppo di alcuni Paesi a scapito di altri. Se non si pone un rimedio alle varie forme di ingiustizia gli effetti negativi che ne deriveranno sul piano sociale, politico ed economico saranno destinati a generare un clima di crescente ostilità e perfino di violenza, sino a minare le stesse basi delle istituzioni democratiche, anche di quelle ritenute più solide.
Dal riconoscimento del primato dell’essere rispetto a quello dell’avere, dell’etica rispetto a quello
dell’economia, i popoli della terra dovrebbero assumere, come anima della loro azione, un’etica della solidarietà, abbandonando ogni forma di gretto egoismo, abbracciando la logica del bene comune mondiale che trascende il mero interesse contingente e particolare. Dovrebbero, in definitiva, avere vivo il senso di appartenenza alla famiglia umana in nome della comune dignità di tutti gli esseri umani: « prima ancora della logica dello scambio degli equivalenti e delle forme di giustizia, […] che le sono proprie, esiste un qualcosa che è dovuto all’uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità ».9
Già nel 1991, dopo il fallimento del collettivismo marxista, il Beato Giovanni Paolo II aveva messo in guardia nei confronti del rischio di « un’idolatria del mercato, che ignora l’esistenza di beni che, per loro natura, non sono né possono essere semplici merci ».10 Oggi occorre senz’indugio accogliere il suo ammonimento e imboccare una strada più in sintonia con la dignità e con la vocazione trascendente della persona e della famiglia umana.

3. Il governo della globalizzazione
Nel cammino verso la costruzione di una famiglia umana più fraterna e giusta e, prima ancora, di un
nuovo umanesimo aperto alla trascendenza, appare inoltre particolarmente attuale l’insegnamento del Beato Giovanni XXIII. Nella profetica Lettera enciclica Pacem in terris del 1963, egli avvertiva che il mondo si stava avviando verso una sempre maggiore unificazione. Prendeva quindi atto del fatto che, nella comunità umana, era venuta meno la rispondenza fra l’organizzazione politica « su piano mondiale e le esigenze obiettive del bene comune universale ».11 Per conseguenza auspicava la creazione, un giorno, di « un’Autorità pubblica mondiale ».12
A fronte dell’unificazione del mondo, propiziata dal complesso fenomeno della globalizzazione; a fronte dell’importanza di garantire, oltre agli altri beni collettivi, quello rappresentato da un sistema economico finanziario mondiale libero, stabile e a servizio dell’economia reale, oggi l’insegnamento della Pacem in terris appare ancor più vitale e degno di urgente concretizzazione.
Lo stesso Benedetto XVI, nel solco tracciato dalla Pacem in terris, ha espresso la necessità di costituire un’Autorità politica mondiale.13 Tale necessità appare del resto evidente, se si pensa al fatto che l’agenda delle questioni da trattare a livello globale diventa costantemente più ampia. Si pensi, ad esempio, alla pace e alla sicurezza; al disarmo e al controllo degli armamenti; alla promozione e alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo; al governo dell’economia e alle politiche di sviluppo; alla gestione dei flussi migratori e alla sicurezza alimentare; alla tutela dell’ambiente. In tutti questi ambiti risulta sempre più evidente la crescente interdipendenza tra Stati e regioni del mondo e la necessità di risposte, non solo settoriali e isolate, ma sistematiche e integrate, ispirate dalla solidarietà e dalla sussidiarietà e orientate al bene comune universale.
Come ricorda Benedetto XVI, se non si persegue questa strada anche « il diritto internazionale,
nonostante i grandi progressi compiuti nei vari campi, rischierebbe di essere condizionato dagli equilibri di  potere tra i più forti ».14
Lo scopo dell’Autorità pubblica, rammentava già Giovanni XXIII nella Pacem in terris, è anzitutto
quello di servire il bene comune. Essa, pertanto, deve dotarsi di strutture e meccanismi adeguati, efficaci, ossia all’altezza della propria missione e delle aspettative che in essa sono riposte. Questo è particolarmente vero all’interno di un mondo globalizzato, che rende persone e popoli sempre più interconnessi ed interdipendenti, ma che mostra anche il peso dell’egoismo e degli interessi settoriali, tra cui l’esistenza di mercati monetari e finanziari a carattere prevalentemente speculativo, dannosi per l’economia reale, specie dei Paesi più deboli.
È un processo complesso e delicato. Tale Autorità sovranazionale deve, infatti, avere un’impostazione realistica ed essere messa in atto con gradualità, con l’obiettivo di favorire anche l’esistenza di sistemi monetari e finanziari efficienti ed efficaci, ossia mercati liberi e stabili, disciplinati da un adeguato quadro
giuridico, funzionali allo sviluppo sostenibile e al progresso sociale di tutti, ispirati ai valori della carità nella verità.15 Si tratta di un’Autorità dall’orizzonte planetario, che non può essere imposta con la forza, ma dovrebbe essere espressione di un accordo libero e condiviso, oltre che delle esigenze permanenti e storiche del bene comune mondiale e non frutto di coercizione o di violenze. Essa dovrebbe sorgere da un processo di maturazione progressiva delle coscienze e delle libertà, nonché dalla consapevolezza di crescenti responsabilità. Non possono, per conseguenza, essere tralasciati come superflui elementi quali la fiducia reciproca, l’autonomia e la partecipazione. Il consenso deve coinvolgere un sempre maggior numero di Paesi che aderiscono in maniera convinta, mediante quel dialogo sincero che non emargina, bensì valorizza le opinioni minoritarie. L’Autorità mondiale dovrebbe, dunque, coinvolgere coerentemente tutti i popoli, in una collaborazione in cui essi sono chiamati a contribuire con il patrimonio delle loro virtù e delle loro civiltà.
La costituzione di un Autorità politica mondiale dovrebbe essere preceduta da una fase preliminare di concertazione, dalla quale emergerà una istituzione legittimata, in grado di offrire una guida efficace e, al tempo stesso, di permettere a ciascun Paese di esprimere e di perseguire il proprio bene particolare. L’esercizio di una simile Autorità, posta al servizio del bene di tutti e di ciascuno, sarà necessariamente super partes, ossia al di sopra di ogni visione parziale e di ogni bene particolare, in vista della realizzazione del bene comune. Le sue decisioni non dovranno essere il risultato del pre-potere dei Paesi più sviluppati sui Paesi più deboli. Dovranno, invece, essere assunte nell’interesse di tutti, non solo a vantaggio di alcuni gruppi, siano essi formati da lobby private o da Governi nazionali.
Un’Istituzione sopranazionale, espressione di una « comunità delle Nazioni », non potrà peraltro durare a lungo, se le diversità dei Paesi, sul piano delle culture, delle risorse materiali ed immateriali, delle condizioni storiche e geografiche non sono riconosciute e pienamente rispettate. L’assenza di un consenso convinto, alimentato da un’incessante comunione morale della comunità mondiale, indebolirebbe l’efficacia della corrispettiva Autorità.
Ciò che vale a livello nazionale vale anche a livello mondiale. La persona non è fatta per servire
incondizionatamente l’Autorità, il cui compito è quello di porsi al servizio della persona stessa, in coerenza con il valore preminente della dignità dell’uomo. Parimenti, i Governi non devono servire
incondizionatamente l’Autorità mondiale. È piuttosto quest’ultima che deve mettersi al servizio dei vari Paesi membri, secondo il principio di sussidiarietà, creando, tra l’altro, quelle condizioni socio-economiche, politiche e giuridiche, indispensabili anche all’esistenza di mercati efficienti ed efficaci, perché non iperprotetti da politiche nazionali paternalistiche, perché non indeboliti da deficit sistematici delle finanze pubbliche e dei Prodotti nazionali, che di fatto impediscono ai mercati stessi di operare in un contesto mondiale come istituzioni aperte e concorrenziali.
Nella tradizione del Magistero della Chiesa, ripresa con vigore da Benedetto XVI,16 il principio di
sussidiarietà deve regolare le relazioni tra Stato e comunità locali, tra Istituzioni pubbliche e Istituzioni private, non escluse quelle monetarie e finanziarie. Così, su un ulteriore livello, deve reggere le relazioni tra una eventuale futura Autorità pubblica mondiale e le istituzioni regionali e nazionali. Un tale principio è a garanzia sia della legittimità democratica sia dell’efficacia delle decisioni di coloro che sono chiamati a prenderle. Permette di rispettare la libertà delle persone e delle comunità di persone e, al tempo stesso, di responsabilizzarle rispetto agli obiettivi e ai doveri che loro competono.
Secondo la logica della sussidiarietà, l’Autorità superiore offre il suo subsidium, ovvero il suo aiuto,
quando la persona e gli attori sociali e finanziari sono intrinsecamente inadeguati o non riescono a fare da sé quanto è loro richiesto.17 Grazie al principio di solidarietà, si costruisce un rapporto durevole e fecondo tra la società civile planetaria e un’Autorità pubblica mondiale, quando gli Stati, i corpi intermedi, le varie istituzioni – comprese quelle economiche e finanziarie – e i cittadini prendono le loro decisioni entro la prospettiva del bene comune mondiale, che trascende quello nazionale.
« Il governo della globalizzazione » – si legge nella Caritas in veritate – « deve essere di tipo sussidiario, articolato su più livelli e su piani diversi, che collaborino reciprocamente ».18 Solo così si può evitare il pericolo dell’isolamento burocratico dell’Autorità centrale, che rischierebbe di essere delegittimata da un distacco troppo grande dalle realtà sulle quali si fonda, e potrebbe facilmente cadere in tentazioni paternalistiche, tecnocratiche, o egemoniche.
Un lungo cammino resta però ancora da percorrere prima di arrivare alla costituzione di una tale
Autorità pubblica a competenza universale. Logica vorrebbe che il processo di riforma si sviluppasse avendo come punto di riferimento l’Organizzazione delle Nazioni Unite, in ragione dell’ampiezza mondiale delle sue responsabilità, della sua capacità di riunire le Nazioni della terra e della diversità dei suoi compiti e di quelli delle sue Agenzie specializzate. Il frutto di tali riforme dovrebbe essere una maggiore capacità di adozione di politiche e scelte vincolanti poiché orientate alla realizzazione del bene comune a livello locale, regionale e mondiale. Tra le politiche appaiono più urgenti quelle relative alla giustizia sociale globale: politiche finanziarie e monetarie che non danneggino i Paesi più deboli;19 politiche volte alla realizzazione di mercati liberi e stabili e ad un’equa distribuzione della ricchezza mondiale mediante anche forme inedite di solidarietà fiscale globale, di cui si dirà più avanti.
Nel cammino della costituzione di un’Autorità politica mondiale non si possono disgiungere le questioni della governance (ossia di un sistema di semplice coordinamento orizzontale senza un’Autorità super partes) da quelle di un shared government (ossia di un sistema che, oltre al coordinamento orizzontale, stabilisca un’Autorità super partes) funzionale e proporzionato al graduale sviluppo di una società politica mondiale. La costituzione di un’Autorità politica mondiale non può essere raggiunta senza la previa pratica del multilateralismo, non solo a livello diplomatico, ma anche e soprattutto nell’ambito dei piani per lo sviluppo sostenibile e per la pace. A un Governo mondiale non si può pervenire se non dando espressione politica a preesistenti interdipendenze e cooperazioni.
4. Verso una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale rispondente alle esigenze di tutti i Popoli

In materia economica e finanziaria, le difficoltà più rilevanti derivano dalla carenza di un insieme
efficace di strutture, in grado di garantire, oltre ad un sistema di governance, un sistema di government dell’economia e della finanza internazionale.
Che dire di questa prospettiva? Quali passi muovere in concreto?
Con riferimento all’attuale sistema economico e finanziario mondiale vanno sottolineati due fattori
determinanti: il primo è il graduale venire meno dell’efficienza delle istituzioni di Bretton Woods, a partire dai primi anni Settanta. In particolare, il Fondo Monetario Internazionale ha perso un carattere essenziale per la stabilità della finanza mondiale, quello di regolare la creazione complessiva di moneta e di vegliare sull’ammontare di rischio di credito assunto dal sistema. In definitiva non si dispone più di quel « bene pubblico universale » che è la stabilità del sistema monetario mondiale.
Il secondo fattore è la necessità di un corpus minimo condiviso di regole necessarie alla gestione del
mercato finanziario globale, cresciuto molto più rapidamente dell’economia reale, essendosi velocemente sviluppato per effetto, da un lato, dell’abrogazione generalizzata dei controlli sui movimenti di capitali e dalla tendenza alla deregolamentazione delle attività bancarie e finanziarie; e dall’altro, dei progressi della tecnica finanziaria favoriti dagli strumenti informatici.
Sul piano strutturale, nell’ultima parte del secolo scorso, la moneta e le attività finanziarie a livello
globale sono cresciute molto più rapidamente della produzioni di beni e di servizi. In tale contesto, la qualità del credito ha teso a diminuire sino ad esporre gli istituti di credito ad un rischio maggiore di quello ragionevolmente sostenibile. Basti guardare alle sorti di grandi e piccoli istituti di credito nel contesto delle crisi che si sono manifestate negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso e infine nella crisi del 2008.
Sempre nell’ultima parte del XX scorso, si è sviluppata la tendenza a definire gli orientamenti strategici della politica economica e finanziaria all’interno di club e di gruppi più o meno estesi di Paesi più sviluppati.
Pur non negando gli aspetti positivi di questo approccio, non si può non notare che esso non sembra
rispettare pienamente il principio rappresentativo, in particolare dei Paesi meno sviluppati o emergenti.
La necessità di tener conto della voce di un maggiore numero di Paesi ha, ad esempio, indotto
l’allargamento dei suddetti gruppi, passando così dal G7 al G20. Questa è stata un’evoluzione positiva, in quanto ha consentito di coinvolgere, negli orientamenti all’economia e alla finanza globale, la responsabilità di Paesi con più elevata popolazione, in via di sviluppo ed emergenti.
Nell’ambito del G20 possono pertanto maturare indirizzi concreti che, opportunamente elaborati nelle appropriate sedi tecniche, potranno orientare gli organi competenti a livello nazionale e regionale al consolidamento delle istituzioni esistenti e alla creazione di nuove istituzioni con appropriati ed efficaci strumenti a livello internazionale.
Gli stessi leader del G20, nella Dichiarazione finale di Pittsburgh del 2009, affermano del resto come « la crisi economica dimostra l’importanza di avviare una nuova era dell’economia globale fondata sulla responsabilità ». Per fare fronte alla crisi e aprire una nuova era « della responsabilità », oltre alle misure di tipo tecnico e di breve periodo, i leader avanzano la proposta di una « riforma dell’architettura globale per fare fronte alle esigenze del 21° secolo »; e quindi quella di « un quadro che consenta di definire le politiche e le misure comuni per generare uno sviluppo globale solido, sostenibile e bilanciato ».20
Occorre quindi avviare un processo di profonda riflessione e di riforme, percorrendo vie creative e
realistiche, tendenti a valorizzare gli aspetti positivi delle istituzioni e dei fora già esistenti.
Un’attenzione specifica andrebbe riservata alla riforma del sistema monetario internazionale e, in
particolare, all’impegno per dar vita a qualche forma di controllo monetario globale, peraltro già implicita negli Statuti del Fondo Monetario Internazionale. È chiaro che, in qualche misura, questo equivale a mettere in discussione i sistemi dei cambi esistenti, per trovare modi efficaci di coordinamento e supervisione. È un processo che deve coinvolgere anche i Paesi emergenti e in via di sviluppo nel definire le tappe di un adattamento graduale degli strumenti esistenti.
Sullo sfondo si delinea, in prospettiva, l’esigenza di un organismo che svolga le funzioni di una sorta di « Banca centrale mondiale » che regoli il flusso e il sistema degli scambi monetari, alla stregua delle Banche centrali nazionali. Occorre riscoprire la logica di fondo, di pace, coordinamento e prosperità comune, che portarono agli Accordi di Bretton Woods, per fornire adeguate risposte alle questioni attuali. A livello regionale tale processo potrebbe essere praticato con la valorizzazione delle istituzioni esistenti, come ad esempio la Banca Centrale Europea. Ciò richiederebbe, tuttavia, non solo una riflessione sul piano economico e finanziario, ma anche e prima di tutto, sul piano politico, in vista della costituzione di istituzioni pubbliche corrispettive che garantiscano l’unità e la coerenza delle decisioni comuni.
Queste misure dovrebbero essere concepite come alcuni dei primi passi nella prospettiva di una Autorità pubblica a competenza universale; come una prima tappa di un più lungo sforzo della
orientare le sue istituzioni alla realizzazione del bene comune. Altre tappe dovranno seguire, tenendo conto che le dinamiche che conosciamo possono accentuarsi, ma anche accompagnarsi a cambiamenti che oggi sarebbe vano tentare di prevedere.
In tale processo, occorre, recuperare il primato dello spirituale e dell’etica e, con essi, il primato della politica – responsabile del bene comune – sull’economia e la finanza. Occorre ricondurre queste ultime entro i confini della loro reale vocazione e della loro funzione, compresa quella sociale, in considerazione delle loro evidenti responsabilità nei confronti della società, per dare vita a mercati ed istituzioni finanziarie che siano effettivamente a servizio della persona, che siano capaci, cioè, di rispondere alle esigenze del bene comune e della fratellanza universale, trascendendo ogni forma di piatto economicismo e di mercantilismo performativo.
Sulla base di un tale approccio di tipo etico, appare, quindi, opportuno riflettere, ad esempio:
su misure di tassazione delle transazioni finanziarie, mediante aliquote eque, ma modulate con oneri proporzionati alla complessità delle operazioni, soprattutto di quelle che si effettuano nel mercato « secondario ». Una tale tassazione sarebbe molto utile per promuovere lo sviluppo globale e sostenibile secondo principi di giustizia sociale e della solidarietà; e potrebbe contribuire alla costituzione di una riserva mondiale, per sostenere le economie dei Paesi colpiti dalle crisi, nonché il risanamento del loro sistema monetario e finanziario; su forme di ricapitalizzazione delle banche anche con fondi pubblici condizionando il sostegno a comportamenti « virtuosi » e finalizzati a sviluppare l’economia reale; sulla definizione dell’ambito dell’attività di credito ordinario e di Investment Banking. Tale distinzione consentirebbe una disciplina più efficace dei « mercati-ombra » privi di controlli e di limiti.
Un sano realismo richiederebbe il tempo necessario per costruire consensi ampi, ma l’orizzonte del bene comune universale è sempre presente con le sue esigenze ineludibili. È pertanto auspicabile che tutti coloro che, nelle Università e nei vari Istituti, sono chiamati a formare le classi dirigenti di domani si dedichino a prepararle alle loro responsabilità di discernere e di servire il bene pubblico globale in un mondo in costante cambiamento. È necessario colmare il divario presente tra formazione etica e preparazione tecnica, evidenziando in particolar modo l’ineludibile sinergia tra i due piani della praxis e della poièsis.
Lo stesso sforzo è richiesto a tutti coloro che sono in grado di illuminare l’opinione pubblica mondiale, per aiutarla ad affrontare questo mondo nuovo non più nell’angoscia ma nella speranza e nella solidarietà.

Conclusioni
Nelle incertezze attuali, in una società capace di mobilitare mezzi ingenti, ma la cui riflessione sul piano culturale e morale rimane inadeguata rispetto al loro utilizzo in ordine al conseguimento di fini appropriati, siamo invitati a non arrenderci e a costruire soprattutto un futuro di senso per le generazioni a venire. Non bisogna temere di proporre cose nuove, anche se possono destabilizzare equilibri di forze preesistenti che dominano sui più deboli. Esse sono un seme gettato nella terra, che germoglierà e non tarderà a portare i suoi frutti.
Come ha esortato Benedetto XVI, sono indispensabili persone ed operatori a tutti i livelli – sociale,
politico, economico, professionale –, mossi dal coraggio di servire e promuovere il bene comune mediante una vita buona.21 Solo loro riusciranno a vivere e a vedere oltre le apparenze delle cose, percependo il divario tra il reale esistente ed il possibile mai sperimentato.
Paolo VI ha sottolineato la forza rivoluzionaria dell’« immaginazione prospettica », capace di percepire nel presente le possibilità in esso inscritte, e di orientare gli uomini verso un futuro nuovo.22 Liberando l’immaginazione, l’uomo libera la sua esistenza. Mediante un impegno di immaginazione comunitaria è possibile trasformare non solo le istituzioni ma anche gli stili di vita, e suscitare un avvenire migliore per tutti i popoli.
Gli Stati moderni, nel tempo, sono divenuti insiemi strutturati, concentrando la sovranità all’interno del proprio territorio. Ma le condizioni sociali, culturali e politiche sono progressivamente mutate. È cresciuta la loro interdipendenza – sicché è divenuto naturale pensare ad una comunità internazionale integrata e retta sempre più da un ordinamento condiviso –, ma non è venuta meno una forma deteriore di nazionalismo, secondo cui lo Stato ritiene di poter conseguire in maniera autarchica il bene dei suoi cittadini.
Oggi tutto ciò appare surreale e anacronistico. Oggi tutte le nazioni, piccole o grandi, assieme ai loro Governi, sono chiamate a superare quello « stato di natura » che vede gli Stati in perenne lotta tra loro.
Nonostante alcuni suoi aspetti negativi, la globalizzazione sta unificando maggiormente i popoli,
sollecitandoli a muoversi verso un nuovo « stato di diritto » a livello sopranazionale, sostenuto da una collaborazione più intensa e feconda. Con una dinamica analoga a quella che in passato ha messo fine alla lotta « anarchica » tra clan e regni rivali, in ordine alla costituzione di Stati nazionali, l’umanità deve oggi impegnarsi nella transizione da una situazione di lotte arcaiche tra entità nazionali, a un nuovo modello di società internazionale più coesa, poliarchica, rispettosa delle identità di ciascun popolo, entro la molteplice ricchezza di un’unica umanità. Un tale passaggio, peraltro già timidamente in corso, assicurerebbe ai cittadini di tutti i Paesi – qualunque ne sia la dimensione o la forza – pace e sicurezza, sviluppo, mercati liberi, stabili e trasparenti. « Come all’interno dei singoli Stati […] il sistema della vendetta privata e della rappresaglia è stato sostituito dall’impero della legge » – avverte Giovanni Paolo II – « così è ora urgente che
un simile progresso abbia luogo nella Comunità internazionale ».23
I tempi per concepire istituzioni con competenza universale arrivano quando sono in gioco beni vitali e condivisi dall’intera famiglia umana, che i singoli Stati non sono in grado di promuovere e proteggere da soli.
Esistono, quindi, le condizioni per il definitivo superamento di un ordine internazionale « westphaliano », nel quale gli Stati sentono l’esigenza della cooperazione, ma non colgono l’opportunità di un’integrazione delle rispettive sovranità per il bene comune dei popoli.
È compito delle generazioni presenti riconoscere e accettare consapevolmente questa nuova dinamica mondiale verso la realizzazione di un bene comune universale. Certo, questa trasformazione si farà al prezzo di un trasferimento graduale ed equilibrato di una parte delle attribuzioni nazionali ad un’Autorità mondiale e alle Autorità regionali, ma questo è necessario in un momento in cui il dinamismo della società umana e dell’economia e il progresso della tecnologia trascendono le frontiere, che nel mondo globalizzato sono di fatto già erose.
La concezione di una nuova società, la costruzione di nuove istituzioni dalla vocazione e competenza universali, sono una prerogativa e un dovere per tutti, senza distinzione alcuna. È in gioco il bene comune dell’umanità e il futuro stesso.
In tale contesto, per ogni cristiano c’è una speciale chiamata dello Spirito ad impegnarsi con decisione e generosità, perché le molteplici dinamiche in atto si volgano verso prospettive di fraternità e di bene comune. Si aprono immensi cantieri di lavoro per lo sviluppo integrale dei popoli e di ogni persona. Come affermano i Padri del Concilio Vaticano II, si tratta di una missione al tempo stesso sociale e spirituale, che, « nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, è di grande importanza per il regno di Dio ».24
In un mondo in via di rapida globalizzazione, il riferimento ad un’Autorità mondiale diviene l’unico
orizzonte compatibile con le nuove realtà del nostro tempo e con i bisogni della specie umana. Non va, però, dimenticato che questo passaggio, data la natura ferita degli uomini, non avviene senza angosce e senza sofferenze.
La Bibbia, con il racconto della Torre di Babele (Genesi 11,1-9) avverte come la « diversità » dei popoli possa trasformarsi in veicolo di egoismo e strumento di divisione. Nell’umanità è ben presente il rischio che i popoli finiscano per non capirsi più e che le diversità culturali siano motivo di contrapposizioni insanabili.
L’immagine della Torre di Babele ci avverte anche che bisogna guardarsi da una « unità » solo di facciata, nella quale non cessano egoismi e divisioni, poiché non sono stabili le fondamenta della società. In entrambi i casi, Babele è l’immagine di ciò che i popoli e gli individui possono divenire, quando non riconoscono la loro intrinseca dignità trascendente e la loro fraternità.
Lo spirito di Babele è l’antitesi dello Spirito di Pentecoste (Atti 2, 1-12), del disegno di Dio per tutta
l’umanità, vale a dire l’unità nella diversità. Solo uno spirito di concordia, che superi divisioni e conflitti, permetterà all’umanità di essere autenticamente un’unica famiglia, fino a concepire un nuovo mondo con la costituzione di un’Autorità pubblica mondiale, al servizio del bene comune.

Indice
Prefazione.................................................... 2
Premessa...................................................... 3
Sviluppo economico e disuguaglianze............... 3
Il ruolo della tecnica e la sfida etica .................. 5
Il governo della globalizzazione........................ 6
Verso una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale rispondente alle esigenze di tutti
i Popoli ........................................................ 8
Conclusioni.................................................. 11
PAOLO VI, Lettera enciclica Populorum progressio, n. 13.
BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Caritas in veritate, n. 21.
Leaders’ Statement, The Pittsburgh Summit, September 24-25, 2009; Annex, 1.
CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 34.
Lettera enciclica Populorum progressio, nn. 76 ss.
Cf. INTERNATIONAL MONETARY FUNDAnnual Report 2007, pp. 8 ss.
Cf. Lettera enciclica Caritas in veritate, n. 45.
Ib., n. 77.
GIOVANNI PAOLO IILettera enciclica Centesimus annus, n. 70.
10 Ib., n. 40.
11 GIOVANNI XXIII, Lettera enciclica Pacem in terris, n. 70.
12 Cf. ib. nn. 71-74.
13 Cf. Lettera enciclica Caritas in veritate, n. 67.
14 Ib.
15 Cf. ib.
16 Cf. ib., nn. 57 e 67.
17 Cf. ib., n. 57.
18 Ib.
19 Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 70.
comunità mondiale di
20 Leaders’ Statement, The Pittsburgh Summit, September 24-25, 2009; cf. Annex, paragrafo 1; G-20 Framework for Strong,Sustainable, and Balanced Growth, §1; Leaders’ Statement, nn. 18, 13.
21 Cf. Lettera enciclica Caritas in veritate, n. 71.
22 PAOLO VI, Lettera apostolica Octogesima adveniens, n. 37.
23 Lettera enciclica Centesimus annus, n. 52.
24 CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 39.


Benvenuto!!!

Cari Visitatori è stato creato questo BLOG a motivo di poter raggiungere il messaggio di Giustizia e pace a tutto il mondo con le parole di Sant'Agostino sull'insegnamento di Gesù Cristo...

Nilo